Monday, August 29, 2005
Juventus in concerto
Oddio vuoi vedere che mi toccherà diventare interista?
Sunday, August 28, 2005
Fazio (Antonio) vattene !
Saturday, August 27, 2005
'A da passà 'a nuttata
Tuesday, August 16, 2005
La scalata ad Antonveneta
Il banchiere Gianpiero Fiorani e Chicco Gnutti fanno squadra nella partita su Antonveneta. Sotto l'occhio benevolo del governatore di Bankitalia, Antonio Fazio, stanno facendo di tutto, con discreto successo, per mettere all'angolo gli olandesi del gruppo Abn Amro, soci principali dell'istituto veneto. Ma la cosa non sorprende affatto perchè l'intesa non nasce adesso. L'amichevole collaborazione tra Fiorani e Gnutti va molto al di là dell'attacco ad Antonveneta. A unirli c'è un network di affari comuni, conclusi senza troppa pubblicità. Non per niente le società riconducibli al finanziere bresciano (Hopa e Fingruppo) hanno investito circa 170 milioni di euro nel gruppo bancario di Lodi, che a sua volta tiene immobilizzati circa 200 milioni di euro nel capitale di Hopa. Dietro le quinte, però, spunta una ragnatela di rapporti più complessa.
SVIZZERA
A Lugano la Popolare Lodi controlla da qualche anno la Bipielle Suisse, già Adamas. Nel 2003, la banca di Fiorani porta la sua quota dal 75 all'86 per cento. Gnutti attraverso la sua Fingruppo holding, compra il 9 per cento dell'istituto svizzero. Il prezzo viene pagato in parte in contanti (4 milioni di euro), il resto in titoli (1,6 milioni di azioni) della Bipielle retail. Ovvero la subholding della Popolare Lodi in cui erano concentrate alcune partecipazioni bancarie. Pochi contanti, quindi, e molta carta, come al solito. Non solo. Fiorani si riprende a titolo di pagamento la quota di una società che già controlla ampiamente. Il gruppo Popolare Lodi, infatti, nel 2003 possedeva già il 90 per cento circa di Bipielle retail. Ma quanto vale il 9 per cento della Bipielle Suisse? Nel bilancio del 2003 quel 9 per cento viene iscritto per 19 milioni e quindi il capitale totale della banca di Lugano deve essere di circa 210 milioni. Fiorani nel 98 pagò 30 milioni per il 60% della banca svizzera. Dunque Gnutti non ha badato a spese per entrare con quel 9%. Ma Fiorani ricambierà presto il favore con la creazioni di Reti bancarie spa.
RETI BANCARIE S.P.A.
Gnutti, via Fingruppo, nel 2002 comprò 18 milioni di azioni Bipielle retail valutati in bilancio 100 milioni di euro. A che scopo, si chiese il mercato? La risposta arriva a fine 2003 quando Fiorani vara l'ennesimo riassetto del gruppo creditizio lodigiano. Bipielle retail esce di scena e, tramite una serie di scorpori e fusioni, nasce Reti bancarie, quotata in Borsa. Gnutti festeggia. Si libera prontamente della sua quota di Bipielle retail (assorbita dalla neonata Reti bancarie) con un guadagno per Fingruppo di 32 milioni. Senza questa provvidenziale plusvalenza la holding bresciana sarebbe andata in perdita per circa 17 milioni nel 2003.
FINGRUPPO E POPOLARE DI LODI
La coppia di amici naviga a vele spiegate e lo scambio di favori prosegue. È ancora Gnutti a trovare a Lodi una sponda sicura. Nel dicembre 2003 Fingruppo vara un aumento di capitale. Non tutti i soci della finanziaria, in gran parte imprenditori di Brescia e dintorni, sono disposti ad aprire il portafogli. Ma ecco che entra in scena Hi-spring, una società in cui Gnutti raccoglie alcuni alleati fidati. Hi spring compra l'8,5 per cento di Fingruppo (poi salito fino all'11 per cento) con un investimento di 54 milioni di euro. Da dove arrivano questi soldi? Provvede a tutto la banca di Lodi che accorda alla società di Gnutti e amici un prestito di 33,2 milioni. Inoltre tramite la propria controllata Hopa, alleata della Pirelli di Marco Tronchetti Provera, Fingruppo gioca anche un ruolo importante negli assetti di controllo di Telecom Italia. Una partecipazione di prestigio, ma anche molto costosa. E allora, con tanta carne al fuoco, Gnutti e soci negli ultimi due anni sono stati costretti più volte a fare provvista di nuovi mezzi finanziari. Così, nel gennaio 2004, insieme all'aumento di capitale Fingruppo lancia anche un prestito obbligazionario da 140 milioni. E ancora una volta gioca un ruolo decisivo la Popolare di Lodi dell'amico Fiorani. L'alleato bresciano di Fiorani si trova in una posizione piuttosto delicata ora con Lodi. Con una quota di poco superiore al 2%, Fingruppo è un socio importante della Popolare, una banca cooperativa con il capitale diviso tra migliaia di piccoli azionisti. Nel consiglio di amministrazione dell'istituto di credito siede Osvaldo Savoldi, socio della stessa Fingruppo. In questo groviglio di interessi, spesso in conflitto tra loro, vale la pena di sottolineare un fatto. Gnutti e i suoi amici hanno rafforzato la presa su una finanziaria azionista della Popolare Lodi grazie ai prestiti della stessa Popolare Lodi e che da luglio 2005 il bond di 140 milioni può essere convertito in qualsiasi momento e quindi potenzialmente la Lodi potrebbe diventare, in base al rapporto di conversione, il più importante azionista con il 20% di Fingruppo.
UNIPOL E FINEC
Ma a quanto pare a Brescia e Lodi non se ne fanno un problema. Dopo Banca Lombarda, Monte dei Paschi, Bnl, adesso tocca all'Antoneventa in tandem con Fiorani e con l'Unipol guidata da Giovanni Consorte, un altro amico e socio storico di Gnutti (tra l'altro entrambi sono finiti sotto inchiesta a Milano per insider trading). Guarda caso, la compagnia di assicurazioni della Lega delle cooperative vanta importanti legami d'affari anche con la Popolare Lodi. Sul famoso bond di 140 milioni, oltre gli amici di Gnutti, è entrato anche un altro soggetto: la Finec Holding, una finanziaria che per il 39% fa capo a Unipol, per il 35% a una serie di cooperative e per il 21% ai bresciani. Ha una peculiarità Finec: oltre alle Coop è l'unico soggetto ammesso al capitale di Holmo (e anche il più importante con il 20%), la superholding che sta in cima a Unipol.
AURORA E RETI BANCARIE
Abbiamo già visto che Reti Bancarie Holding è la capofila quotata delle banche del gruppo Popolare Lodi. Se si arrivasse a un'integrazione con Antonveneta, secondo le ipotesi più attendibili sarebbe Reti Bancarie (che è una spa) e non la Lodi (una cooperativa) l'incorporante. E' qui, in Reti Bancarie, che l'Unipol da qualche mese ha messo radici. Lo ha fatto tramite l'Aurora Assicurazioni che si è messa d’accordo per la vendita in esclusiva agli sportelli delle sue polizze. Poi Aurora ha comprato fino all'8%, diventando il secondo azionista di Reti Bancarie e sindacando la sua quota con il 65,5% della Lodi. Così se si andasse a un concambio, Unipol metterebbe sulla bilancia, oltre al 2% di Antonveneta, anche la partecipazione in Reti Bancarie.
Dunque, legami strettissimi al punto che sembra quasi attivarsi, quando serve o quando qualcuno chiama, un meccanismo di mutuo soccorso, come nel caso delle obbligazioni Fingruppo. E' capitato anche con i prestiti Hopa. Scavando nel passato (2002) se ne trova uno da 165 milioni convertibile alla scadenza (2007) tutto in azioni Hopa o per due terzi in azioni Telecom: è quello che è finito interamente nel portafoglio di Antonveneta. Questo fa anche di Antonveneta un soggetto con un certo potere all'interno di Hopa: che succederebbe se la banca padovana finisse in mani poco gradite?
Fonti: L'Espresso e il Corriere della Sera
Un 2005 a tutto campo
da "Bresciaoggi" - Sabato 8 Gennaio 2005
Autore: Paolo Algisi
Se Brescia continua a essere snodo appartato ma cruciale nei giochi della finanza nazionale lo si deve sempre a lui, Emilio Gnutti, il finanziere ad alto rendimento, mente bresciana della «madre di tutte le scalate», quella del 1999 a Telecom Italia. Hopa, la merchant bank guidata da Gnutti, ha da poco dato il suo ok alla ricapitalizzazione di Olimpia, la cassaforte di Telecom Italia controllata dalla Pirelli di Marco Tronchetti Provera. Costo dell’operazione, 320 milioni di euro. Che potrebbero diventare a breve almeno 370 mln, se Hopa, azionista di Olimpia al 16%, dovesse sottoscrivere pro-quota l’inoptato dei Benetton, ancora dubbiosi se aprire il portafoglio e partecipare all’operazione. Ma altre due partite nel 2005 vedranno Gnutti defilato protagonista. E sono partite non da poco visto che in ballo c’è il controllo di due primarie banche nazionali: Bnl e Antonveneta. Nell’istituto romano presieduto da Luigi Abete, Hopa è accreditata di una partecipazione di poco inferiore al 2%. In Bnl si fronteggiano due patti di sindacato. Il primo che governa la banca e di cui Abete è espressione, composto dall’istituto di credito spagnolo Bbva (14,9%), da Diego Della Valle (5%) e dalle Generali (8,5%). E il «contropatto» (che controlla, tra quote sindacate e non, circa il 28% di Bnl), agguerrita pattuglia di immobiliaristi, con in testa il costruttore romano Francesco Gaetano Caltagirone. Gnutti si è più volte chiamato fuori dalla contrapposizione. Ma sono in molti a non crederci. I sospettosi fanno infatti presente che sono tanti i fili che legano Chicco Gnutti al contropatto. E sono fili d’acciaio. Anzitutto la presenza, tra gli immobiliaristi, dei fidati amici e azionisti di Hopa, Ettore e Tiberio Lonati (in carico hanno il 2,5% di Bnl). Poi la presenza di Stefano Ricucci, altro membro del contropatto e consigliere di Hopa. Infine Francesco Gaetano Caltagirone, membro con Gnutti del cda di Monte dei Paschi. In primavera scadono i vertici dell’istituto capitolino. E quel «quasi 2%» di Bnl in mano a Gnutti potrebbe fare da ago della bilancia, rimpolpando i voti del contropatto, se si arrivasse al muro contro muro. Sempre che il governatore di Bankitalia, Antonio Fazio, non sbrogli prima una matassa ingarbugliatissima. Gli occhi sono puntati su Mps (al 4,4% in Bnl), in vista di un possibile rafforzamento finalizzato all’assunzione di un ruolo attivo e di mediazione tra i due schieramenti. E anche qui Gnutti, azionista (circa il 4% tra Hopa e posizioni personali) di Mps al pari di Caltagirone e vicepresidente dell’istituto senese, potrebbe dire la sua. Ma in un’altra partita del risiko bancario nazionale Gnutti mette il suo zampino: è quella su Antonveneta. Sull’istituto padovano ci sono voci insistenti di un interessamento di Gianpiero Fiorani, banchiere attivissimo a capo della Banca Popolare di Lodi (Bpl). I rapporti Fiorani-Gnutti sono ferrei, con incroci azionari tra Fingruppo, la finanziaria di Gnutti e Bpl, a sua volta membro del patto di sindacato di Hopa, nel cui Cda siede Fiorani. Il patto di sindacato che controlla il 30,7% dell’Antonveneta è stato di recente disdettato da Edizione Holding (5%) e da molti dei soci riuniti nella fiduciaria Delta Erre (10,3%), tra cui lo stesso Gnutti che in carico ha il 2,1% dell’istituto di Padova. E mentre i restanti membri del patto, capitanati dall’olandese Abn Amro (primo azionista dell’Antonveneta con il 12,7%), cercheranno di trovare nuovi soci, nessuno dubita che Gnutti darà a Fiorani tutto il suo appoggio, qualora il banchiere decidesse andare alla carica dell’istituto presieduto da Tommaso Cartone.
Miscellanea
Curiosità e spazzatura varia
INSIDER TRADING
Un secco "no comment" è tutto ciò che oppone Emilio Gnutti all'apertura dell'inchiesta della Procura di Milano che ipotizza un caso di insider trading sul riacquisto di obbligazioni Unipol. Da quanto si è appreso negli ambienti giudiziari, sarebbero indagati anche la moglie e alcuni amici dell'imprenditore bresciano.
FINMATICA
Un asse, quello tra Gnutti e Finmatica, creato nella primavera del 2001, quando Crudele entrò nel capitale della finanziaria bresciana Hopa, con un incrocio che portò quest'ultima al 3% del capitale di Finmatica (quota poi ridotta sotto il 2% nell'agosto 2003). Proprio questa vicinanza, tra l'altro, ha portato la Guardia di finanza a perquisire anche la sede della Hopa, la finanziaria socia, fra l'altro, di Pirelli in Olimpia, la holding del gruppo Telecom.
TELECOM
Nuovo atto dell'inchiesta sui bilanci Telecom. Secondo quanto trapelato dagli ambienti giudiziari torinesi, risultano esserci dieci indagati e fra di essi figurano anche il presidente e amministratore delegato Roberto Colaninno, l'amministratore delegato di Seat Pg, Lorenzo Pellicioli ed Emilio Gnutti, socio di Colaninno nella finanziaria Hopa. I reati ipotizzati sono falsa perizia, falso in bilancio, conflitto di interessi, manipolazione di titoli.(5 luglio 2001)
SEVESO BIS
A Brescia c'è una Seveso bis: una fabbrica chimica ha avvelenato per decenni di Pcb una parte della città: a rischio 50 mila persone.Non più di qualche settimana fa, i bresciani di Gnutti hanno reinvestito parte dei 4 mila miliardi delle plusvalenze dell'affare Telecom per liquidare a Lucchini il 40% di ciò che gli restava della proprietà di quei terreni. Oggi, con la piena proprietà delle aree e una variante di piano regolatore già approvata, la cordata bresciana di Gnutti potrà aprire a settembre i cantieri che trasformeranno uno spicchio di quella "Pera" - il più prestigioso - in zona residenziale e centri commerciali. Sapere che villini con giardino e supermercati getteranno le fondamenta in una seconda Seveso sembra un buon motivo per restare in silenzio. (13 agosto 2001)
ALFA ROMEO
dall'Assemblea Alfa di Arese del 9 dicembre 2002.
Ora sappiamo chi c'è dietro Riccardo Conti, il parlamentare dell'UdC che ha "comprato" l'area su cui sorge l'Alfa Romeo di Arese.
L'Immobiliare Estate Sei (amministratore unico Riccardo Conti) è oggi padrona di tutta l'area (2 milioni e 200mila metri quadri) tranne i due palazzi del Centro Tecnico e del Centro Direzionale
Riccardo Conti ha solo il 2,5% della proprietà di Estate sei.
- Il maggiore azionista di Immobiliare Estate sei è la NAZIONALE FIDUCIARIA spa con il 47,5%.
- Nazionale Fiduciaria spa è controllata al 100% dalla Hopa di Emilio Gnutti.
- Presidente e amministratore delegato di Hopa è Emilio Gnutti;
- vicepresidenti sono Giovanni Consorte, presidente di Unipol e Luigi Lucchini, ex presidente della Confindustria.
- Hopa è gestita da un patto di sindacato, in vigore fino al 2004, che comprende Fingruppo (di Gnutti e soci), Unipol, Monte dei Paschi di Siena e Popolare di Lodi, ognuna con il 5% circa. Il patto di sindacato decide su tutte le questioni più importanti.
- Fininvest e Mediaset, che già avevano nel cda di Hopa l'ex amministratore delegato Aldo Livolsi, sono entrate nella stessa Hopa con il 5,4%.
- Il 25 giugno 2002 Emilio Gnutti ed Ettore Lonati (Hopa) sono stati condannati rispettivamente a 8 e 6 mesi di carcere dal Tribunale di Brescia per una truffa in Borsa di 300.000 euro.
PARMALAT
"Era come un bus: a ogni fermata, caricava qualcuno". La Grant Thornton spa, la società che certificava i bilanci Parmalat, ha costruito così il suo piccolo impero a cavallo fra revisione e consulenza, con soci e professionisti di ogni settore. In una delle fermate è salito anche il finanziere Emilio Gnutti. Tra le partecipazioni in portafoglio a Gp finanziaria, cui fanno riferimento Finholding group e Hopa, appare infatti il 10% di Grant Thornton impresa, la holding del gruppo nella consulenza. Per contro, a dispetto delle muraglie cinesi fra consulenza e revisione, Grant Thornton spa ha certificato i bilanci delle società di Gnutti: da Hopa, Fingruppo e Bell ai tempi della scalata a Telecom, a Siber prima della contestata fusione con Vemer (costata una causa per danni a carico del finanziere bresciano) per arrivare oggi alla stessa Gp finanziaria.
QUINTA G
Il finanziere bresciano, leader di Hopa, ha recentemente aumentata (novembre 2004) la sua quota nella singolare società, costituita da tutti (o quasi) gli ex compagni di scuola del finanziere ai tempi dell’Itis. Attraverso Gp finanziaria, Gnutti è salito dal 26,4% al 32% del capitale. Inoltre, la società, che ha chiuso il 2003 con utili per 500 mila euro, in questi mesi ha portato a termine una lunga serie di partecipazioni. L’elenco è vario. Secondo quanto riportato da un quotidiano economico milanese, la Quinta G, che fino alla fine del 2003 ha custodito un pacchetto della cassaforte lussemburghese Bell (ceduta con un incasso di 755 mila euro), si è rafforzata nel settore dei vini, dei succhi di frutta, nei film e nei motori. Una serie di partecipazioni che corrisponderebbero ad una fetta del 6% del fatturato del gruppo. Analizzando il portafoglio della società, si scopre che la Quinta G ha sottoscritto 22 milioni di obbligazioni della tedesca Kamps, colosso alimentare recentemente acquisito dalla Barilla. Ci sono anche circa 6,5 milioni di obbligazioni Antonveneta. Sul fronte titoli, per un totale di 3,2 milioni di euro, ci sarebbe, oltre alla quota in Hopa, valutata in bilancio 134 milioni, anche una manciata di azioni Banca Lombarda, Seat, Pagine Gialle, Telecom Italia media e Banca Valori. La Quinta G avrebbe inoltre acquistato il 15% di Sangemini fruit, nuova società del gruppo Sangemini (già di proprietà di Hopa), il 15% dell’Azienda Agricola Bersi Serlini, e il 30% di Dinamica spa, la concessionaria bresciana Bmw di viale Sant’Eufemia. Altre partecipazioni, infine, riguardano il mercato immobiliare: Quinta G avrebbe investito 6,4 milioni di euro per acquistare il 40% della Sosviter srl e il 27,5% del Borgo centrale spa.
Monday, August 15, 2005
Chicco Story - Le Banche
da "Il Mondo" - 25 luglio 2003
L' ultimo chip, che segue quello nella Imprenditori associati per conquistare l' Eti, lo ha messo nella Lucchini. Chiamato dalla storica famiglia di industriali bresciani a dar manforte al piano di ristrutturazione messo a punto dalla Lazard, Emilio Gnutti non ha saputo dir di no e ha sottoscritto una piccola parte dell' aumento di capitale e delle obbligazioni convertibili che lo potranno far diventare socio di Elettra, la società elettrica del gruppo. Un'operazione che segue quella in Monte dei Paschi e ne precede, secondo alcuni, una analoga in Antonveneta. Per la verità un piede nel business delle utility Gnutti lo aveva già messo circa un anno fa, quando ancora la Lazard lo aveva chiamato in soccorso del collocamento dell' Asm di Brescia, l' azienda municipalizzata lombarda. Il book del piazzamento agli investitori era quasi vuoto e la Hopa di Gnutti si comprò una piccola ma significativa quota, il 2,8%, così fecero altri due bresciani doc, Ettore Lonati e Romain Zaleski. Intese su più fronti A parte quest' ultima passione per l' energia non vi è dubbio che la ragnatela di partecipazioni che il finanziere bresciano, salito agli onori delle cronache con il lancio dell' Opa su Telecom al fianco di Roberto Colaninno, ha saputo mettere insieme sia sempre più estesa. E cementata da alleanze che contano. Il sogno segreto di Gnutti, oltre che di fare soldi per sé e per i suoi azionisti, è quello di diventare un banchiere a tutto tondo. E recentemente vi è anche riuscito diventando vicepresidente del Monte dei Paschi di Siena grazie all' apertura del capitale ai privati. Una nomina frutto di una mediazione politica condotta tra emissari del governo, del calibro di Gianni Letta, e le correnti Ds che da sempre governano la banca senese. I successi di Gnutti si devono anche alla natura bipartisan dei soci della Hopa, una configurazione che il finanziere si è modellato soprattutto negli ultimi due anni. Tra i soci ci sono, fin dagli esordi della finanziaria, proprio il Monte dei Paschi e l' Unipol, esponenti di spicco della finanza rossa. C' è l' Interbanca di Giorgio Cirla che rappresenta anche il trait d' union con la Banca Antonveneta. Da Fiorani a Fazio. C' è il legame con la Bipielle di Gianpiero Fiorani che garantisce un canale privilegiato con il governatore Antonio Fazio. Ma da qualche mese c' è anche la Fininvest di Silvio Berlusconi, entrata dalla porta principale grazie a un generoso concambio di azioni Olivetti che ha alleviato il bilancio delle società del presidente del Consiglio. Senza dimenticare gli imprenditori di Lumezzane e dintorni, capitanati dai Lonati e dai Marinelli, coloro che hanno sostenuto l' avventura in Telecom quando ai più sembrava una pazzia. Un centauro della finanza. Il modello di business inventato da Gnutti per la Hopa, una via di mezzo tra un fondo chiuso che investe in partecipazioni di imprese e una trading room che cerca di trarre profitto dalle opportunità che si presentano in Borsa, è stato addirittura citato da Luigi Spaventa nella sua ultima relazione Consob. Gnutti è stato uno dei precursori del private equity in Italia, una sorta di terza via per le aziende che si colloca tra le banche e il mercato. Anche se il modello di private equity adottato da Gnutti non è propriamente quello ideale, secondo l' ex presidente della Consob. "Il contributo alla crescita delle aziende è modesto quando i capitali, raccolti in aree ricche dove vi è sovrabbondanza rispetto alle opportunità o ai desideri di investimento delle imprese", scrive Spaventa nella sua ultima relazione, "sono destinati all' acquisto di partecipazioni di riferimento in società quotate: quei capitali, nati dalla produzione, vengono per così dire finanziarizzati". Il riferimento di Spaventa può sembrare come una sorta di giudizio ex post alla più grande operazione mai effettuata sul mercato italiano, l' Opa sulla Telecom, e che ha visto protagonista proprio la Hopa. In quell' occasione si cementarono gli interessi dei piccoli imprenditori bresciani ammaliati da un abile Gnutti e la grande intraprendenza di un manager partito da Mantova, Colaninno, con tanta voglia di fare soldi. L' avventura è finita positivamente, ma i rischi corsi sono stati elevati e in qualche modo l' operazione Telecom ha segnato uno spartiacque nella pur breve vita della Hopa. La vendita a Marco Tronchetti Provera, sotto il peso dei debiti nei confronti delle banche che erodevano il capitale di base della finanziaria bresciana, è giunta come una vera e propria manna e per alcuni è stata un' esperienza da non ripetere. Andata e ritorno Nessuno dei soci bresciani, nell' estate di due anni fa, si sarebbe aspettato di uscire così bene da una situazione che si era fatta veramente difficile. E il rientro in Telecom, avvenuto alla fine del 2002 attraverso una complessa operazione di ingegneria finanziaria, ha consacrato Gnutti agli occhi dei suoi investitori. Con le holding del presidente del Consiglio tra i propri soci e con il ritorno nella plancia di comando della Telecom al fianco di Tronchetti Provera, Gilberto Benetton e dei banchieri più influenti del Paese, Gnutti all' inizio di quest' anno poteva quasi apparire l' astro brillante della finanza italiana. Poi però sono arrivati due passi falsi. La corsa a Torino A inizio anno Gnutti ha ingaggiato un testa a testa con Colaninno per la conquista della Fiat terminato con un nulla di fatto per entrambi. Gnutti come al solito aveva fiutato l' affare e voleva entrare nell' impero degli Agnelli dalla porta principale. Ha offerto i suoi denari per un sostanzioso aumento di capitale nella Fiat holding, operazione che gli avrebbe permesso di contare anche nei delicati equilibri del Corriere della Sera e della Edison sedendo al fianco degli Agnelli. Ma forse proprio questo eccesso di protagonismo ha fatto scattare qualche allarme e così la proposta di Gnutti sulla Fiat è stata cortesemente rimandata al mittente, così come quella di Colaninno. Ancora più significativo il secondo segnale arrivato in quel di Brescia. Scartata Fiat, Gnutti e la Unipol si buttano a pesce sulla Toro, uno dei gioielli messi in vendita dagli Agnelli per far quadrare i conti dell' auto. A decidere c' è anche Capitalia, di cui Toro possiede una quota strategica, per gli equilibri di controllo della banca e dunque la strada sembra spianata. Cesare Geronzi, con cui Gnutti è in buoni rapporti avendo acquistato anche una quota della Mcc (Mediocredito Centrale), preferirà sicuramente che il pacchetto Capitalia finisca in buone mani. Ma alla fine il prezzo prevale sulle alleanze e la Toro viene venduta alla De Agostini che offre 2,4 miliardi per assicurarsi la compagnia della Fiat. Per Gnutti e la Unipol una brutta musata. Un' altra arriverà poco dopo, quando la Procura di Milano aprirà un' inchiesta per insider trading sulle obbligazioni Unipol nella quale vengono coinvolti sia Gnutti che Giovanni Consorte. A causa di questi incidenti la sua cooptazione nel consiglio del Monte dei Paschi deve seguire una procedura particolare, con la definitiva accettazione da parte dell' assemblea. Ma il consenso politico non manca e Gnutti è vicepresidente del Monte. Tra Siena e Padova Le prossime due partite importanti Gnutti se le giocherà ancora in banca. La prima riguarda la stessa Capitalia, di cui la Hopa possiede una piccola quota e di cui ambisce a partecipare al rinnovo del patto di sindacato. Qui si capirà se Gnutti è riuscito a farsi accettare da un altro salotto importante, quello di Geronzi e del governatore Fazio. La seconda si gioca nella ricca provincia padovana e ha come teatro il ricco business del Nordest. Gli equilibri dell' Antonveneta oscillano tra gli olandesi della Abn Amro, i Benetton e l' ennesima cordata che si ragguppa intorno a Gnutti. Con Gilberto Benetton i rapporti non sono idilliaci, lo si è capito al momento dell' ingresso in Olimpia e le idee sull' istituto che fu governato da Pontello sono divergenti. Per il momento Treviso ha avuto la meglio, promuovendo la nomina di un manager come Pietro Montani. Ma sul controllo della banca Gnutti giocherà fino in fondo la sua partita. La galassia di Gnutti La ragnatela di società controllate o partecipate dalla Hopa. Quelle in rosso sono le società quotate, mentre in quelle di colore blu scuro la holding detiene il controllo. Nel 2002 Hopa ha messo a segno un risultato netto di 186 milioni di euro, contro i 695 dell' anno precedente, che comprendeva la cessione del pacchetto Telecom detenuto in Bell.
Chicco Story - Razza padana
Fonte: "Il Quotidiano" del 18 marzo 2004
Emilio Gnutti detto Chicco, da Brescia, è un personaggio molto conosciuto nel mondo della finanza d'assalto di questi ultimi anni. Soprattutto per due ragioni: è un raider, uno scaltro e spregiudicato finanziere dai mille affari e dall’unico comandamento, quello di guadagnare alla svelta moltiplicando possibilmente per tre gli investimenti, ed è anche l’unico finanziere di un certo livello ad avere subìto una condanna nei tredici anni di esistenza della legge sull’insider trading.
Gnutti è un giocatore a tutto campo. Dall’affare Telecom in poi non c’è partita importante che non lo abbia visto nel ruolo di protagonista. E proprio perché è sempre sull’ottovolante, quindi a volte sugli altari e a volte nella polvere, Gnutti si ritrova ogni tanto anche con qualche tegola sulla testa. Ad occhio e croce, ne ha già ricevute quattro per una serie di sospetti: evasione fiscale sui 3mila miliardi di vecchie lire incassate nell’operazione di cessione del gruppo Telecom alla Pirelli nel 2001; di nuovo insider trading su Telecom dopo l’Opa, l’offerta pubblica di acquisto, lanciata dall’Olivetti nel 1999; ancora insider trading sul riacquisto di obbligazioni quotate decise dal gruppo Unipol di cui Gnutti è consigliere. L’insider trading, come si vede, è un «vizietto» costante nel modo di operare di Gnutti, che ha sulle spalle una condanna in primo grado ad 8 mesi di reclusione inflitta nel 2002 dal Tribunale di Brescia per avere passato informazioni riservate sulla Cmi, la Cantieri metallurgici italiani della famiglia Falck, al socio Ettore Lonati, l’industriale bresciano che è uno degli alleati della prima ora e guida insieme ai fratelli un gruppo che opera nelle macchine per le calze con un fatturato superiore al miliardo di euro. L’ultima tegola è di questi giorni: Gnutti è indagato a Firenze per corruzione della Guardia di finanza. Secondo gli inquirenti, nel 2001 è stata promessa una tangente per ammorbidire i controlli sulla Pineider, la storica azienda fiorentina fondata nel 1774 e famosa per avere fornito le sue preziose carte lavorate a mano a clienti illustri come Napoleone Bonaparte, Giacomo Leopardi, Charles Dickens, Luigi Pirandello. La Pineider, comprata da Gnutti quando era ancora in sella alla Telecom, avrebbe dovuto aumentare il suo giro d’affari con le commesse che gli avrebbe dovuto garantire proprio il colosso telefonico. Ma la prospettiva svanisce quando il finanziere bresciano esce un anno dopo dalla vicenda Telecom con un bel po’ di soldi. Ed ora la Pineider è da poco tempo in liquidazione.
IL BIGLIETTO DA VISITA
Classe 1947, originario di Lumezzane, diploma di perito elettrotecnico e una laurea in lettere conseguita nel 1984, Chicco Gnutti è di umili origini ma ha da sempre una passione per le auto d’epoca e il pianoforte. È’ famoso per la sua Bentley blu, la Ferrari gialla e per le lezioni del martedì sera alla tastiera. É’ anche noto per la paura di volare, una fifa tremenda. Sposato con Ornella Pozzi, anche lei indagata per insider trading nella vicenda Unipol, e padre di due figli, Arianna e Thomas, Gnutti entra nel business creando la Fineco, una piccola azienda di motorini per elettrodomestici, trasformata poi nel 1979 in una finanziaria di investimenti. La finanza diventa così il suo pane quotidiano: «Sa leggere i numeri e i mercati come pochi», dirà di lui Federico Imbert, numero uno in Italia della banca d’affari internazionale JP Morgan Chase, che non solo lo finanzia largamente ma sarà anche al suo fianco in numerose scorribande, se non proprio tutte, con un ruolo quasi da regista. Nel 1997 fonda la Hopa grazie proprio ad un’idea di Imbert, il quale vuole mettere un po’ d’ordine nella ragnatela di partecipazioni industriali e finanziare creata da Gnutti. É’ una cassaforte piena di soldi, partecipazioni e soci ricchi. Parecchi soci, all’inizio una ventina per poi superare rapidamente il centinaio sino ad arrivare a quota 180. Molti bresciani, alcuni bergamaschi, alcuni mantovani, in parte noti, in parte semisconosciuti, in parte refrattari alle luci della ribalta ma con una caratteristica comune: sono tutti pieni di soldi. Dirà Gnutti: «L’industria bresciana è alla terza generazione, quindi c’è gente che ha accumulato grosse ricchezze». Ed ecco insieme le famiglie Lonati, Bossini, Bertoli, Annovazzi, Marinelli, Marniga, Bonomi, Levoni, Cavandoli, Montini, Chiarva, Mondardini, Landi, Lucchini, Ricconi che hanno grande fiducia in lui. «Negli affari - spiegherà - l’importante è la stima reciproca più che l’amicizia».
LA TEORIA DELL'IMPRENDITORE
Gnutti, il quale preferisce definirsi «imprenditore» perché l'imprenditore deve avere «coraggio ma anche un pizzico di incoscienza», opera in questo modo sin dai tempi della Fineco: riunisce un discreto numero di persone piene di soldi creando così una massa d’urto importante, investe i loro quattrini (insieme ai suoi, naturalmente) sui mercati finanziari non solo in iniziative di solito speculative ma anche in semplici operazioni di trading giornaliero, e le ripaga con sostanziosi dividendi. «La Hopa - dirà - è una merchant bank a tutto tondo, quindi tutti i business vanno bene». Esce allo scoperto nel 1998 quando, insieme a Roberto Colaninno, il ragioniere di Mantova «sdoganato» da Carlo De Benedetti, comincia a scalare l’Olivetti rastrellandone le azioni. Nell’operazione ci sono i soldi e le idee della Chase (è di Imbert il progetto della Bell, la finanziaria domiciliata in Lussemburgo che poi diventerà il maggiore azionista della Olivetti) ma Gnutti può contare anche sull’appoggio finanziario di Silvano Pontello, il padre-padrone dell’Antonveneta di Padova scomparso nel marzo 2002 ed ex collaboratore di Michele Sindona negli anni ruggenti della Banca Privata e della Banca Unione. E può contare su Interbanca, la banca d’affari del gruppo padovano diretta da Giorgio Cirla.
IL COLPO GROSSO DEL CONQUISTATORE
Una volta conquistata l’Olivetti, l’appetito cresce. E nel febbraio 1999, allorché Colaninno decide di partire alla conquista di Telecom Italia lanciando l’offerta pubblica di acquisto più grande d’Europa con l’appoggio della Chase Manhattan, della Lehman Brothers e persino di Mediobanca, anche lui è della partita. Con la benedizione di Massimo D’Alema, all'epoca capo del governo, il quale darà a Colaninno e soci la patente di «capitani coraggiosi». E Telecom viene soffiata da sotto il naso degli Agnelli. Con l’Avvocato che qualche mese più tardi, dopo aver clamorosamente preso le distanze da Mediobanca che da sempre è stata alle spalle della Fiat, replicherà a D’Alema rinfacciandogli di avere preferito i «capitani coraggiosi» alla Colaninno al «piccolo mondo antico» delle grandi famiglie del capitalismo italiano.
IL GRANDE BLUFF
Una volta in sella a Telecom Italia il duo Colaninno-Gnutti mette a punto con Lorenzo Pelliccioli, un manager bergamasco convinto assertore della creazione di valore solo per gli azionisti, e con Sergio Erede, un avvocato con il tocco del banchiere d’affari, la fusione tra Tin.it e Seat. Tin.it è la divisione dei servizi Internet del gruppo Telecom, la Seat è la società famosa per la produzione delle pagine gialle e degli elenchi telefonici, girata prima dalla Stet al Tesoro, poi privatizzata e successivamente ricomprata dalla Telecom. La storia della fusione è abbastanza complessa. Possiamo dire, in grande sintesi, che si tratta di un grande bluff dai contorni per nulla trasparenti al punto da interessare anche la magistratura, con una serie di operazioni che hanno arricchito alcuni investitori ma impoverito il colosso telefonico. Un grande bluff che costerà molto caro ai piccoli risparmiatori. Gli obiettivi d'investimento di Gnutti sono quindi per un certo periodo Olivetti, Telecom, Seat, le società controllate cioè direttamente dalla Hopa. E questo fatto gli permette di manovrare con grande facilità: Chicco può infatti disporre per primo delle informazioni riservate facendo parte di quasi tutti i consigli d’amministrazione.
Friday, August 12, 2005
Intercettazioni e sentenze
Sappiamo, dalle indagini dei giudici milanesi, che la documentazione presentata da Bankitalia al Tar era a dir poco "addomesticata", ma di questo riteniamo che il giudice non fosse a conoscenza essendosi basato sulle carte che gli erano state trasmesse il 3 luglio.
Basti pensare a quella intercettazione, del 6 luglio, quando gli inquirenti ascoltano in diretta Fiorani ordinare a un collaboratore il perfezionamento cartaceo di un documento necessario per l'autorizzazione di Bankitalia. Quando poi la Procura manderà i propri uomini in via Nazionale, «nella documentazione sequestrata presso la Banca d'Italia sarà in effetti rinvenuto tale contratto, pervenuto alla segreteria della Vigilanza in data 6 luglio 2005. Senonché il contratto riporta la data del 28 giugno, mentre dalla conversazione intercettata appare evidente che tali atti sono stati formati successivamente a tale data, e verosimilmente il 5 o lo stesso 6 luglio» si legge nell'ordinanza dei pm milanesi.
Oppure, altro esempio, ricordo la conversazione telefonica del 9 luglio (ore 19,22) tra Francesco Frasca (capo della vigilanza di Bankitalia e indagato) e tale Marino (probabilmente un dirigente di Bankitalia). Parlano dell´istruttoria su Antonveneta.
«Frasca - riportano gli investigatori - afferma che il 10 di luglio queste terze persone hanno i mezzi patrimoniali per fare l´operazione... il Governatore vorrebbe chiudere tutto venerdì pomeriggio». La conversazione continua sulle ragioni che spingono Fazio ad agire con tanta fretta. «Marino - è riportato nei brogliacci - accenna alla causa del 13». Marino: «Il provvedimento autorizzativo dovrebbe contenere una motivazione che dica che l'autorizzazione è stata prevista per il 15 e per il 30 e che per il 30 giugno era tutto in ordine... Tutto ciò rappresenterebbe un aiuto per mercoledì davanti al Tar e potrebbe rappresentare anche una scappatoia per il collegio al fine di togliersi la patata bollente senza entrare nel merito».
Dunque tutto spiegabile e giustificabile. Quello che non è comprensibile è il silenzio tombale che, finora, ha accolto questa intercettazione telefonica che riprendo da "Repubblica" del 6 agosto:
19 luglio 2005 ore 21.26.12
Boni (direttore finanziario della popolare italiana) al telefono con un tale Giulio: "Stiamo aspettando la notizia della Consob". Giulio risponde: "Il presidente del Tar del Lazio prima lavorava in banca d'italia" e Boni (ridendo):
"Adesso è passato anche alla banca di lodi".
Ma il destinatario di questo diffamante apprezzamento non ritiene di dover reagire per difendere la sua onorabilità e quella del suo Ufficio?
Polveroni mediatici
8 luglio 20,36
"Giorgio Cirla (manager Antonveneta) parla con Gnutti. Annota la Finanza: «Dopo aver parlato di Unipol, la conversazione procede e i due parlano di uno che è dovuto andare a Francoforte e sperano che quando ritorna non gli venga male alla prostata». Il discorso, spiegano gli inquirenti, verte decisamente sulla Banca d´Italia, Antonio Fazio e l´autorizzazione che deve dare alla Banca Popolare di Lodi per l´Antonveneta, a meno che non subentrino inconvenienti, come «il male alla prostata». Cirla: «Una volta ottenuta l´autorizzazione qualsiasi cosa da fare diventa un´arma spuntata, perché alla fine con la Banca d´Italia che avrà dimostrata la correttezza del tuo operato, alla fine questi di Roma archivieranno la denuncia di quei c... dell´Adusbef»."
Il 22 luglio Gnutti chiede a un certo Giorgio «cosa farà Groening» di Abn. Giorgio dice che «stanno esaminando l'ultima possibilità di bloccare le azioni, ma non sono più in tempo», concludendo: «Farà la fine dell'Opa Telecom».
Ma che, per dirla alla Bondi o alla Grillo (fate voi), oltre che il governo, Berlusconi e la Banca d'Italia, con questa aggressione mediatica i comunisti vogliono destabilizzare anche Interbanca?
Thursday, August 11, 2005
Spezzatino di Ferragosto
Al momento appare alquanto improbabile, alla luce anche degli indirizzi che hanno preso le inchieste giudiziarie, che Consob e Banca d'Italia possano sbloccare le due Opa di BPI. E' plausibile infatti che, per non commettere altri passi falsi, si attenda almeno qualche settimana prima di prendere una qualche decisione, fintantochè appunto i pm non abbiano messo alcuni altri punti fermi nell'inchiesta con il filone della cessione delle minorities e del ruolo delle banche estere. Piuttosto non sorprenderebbe che arrivasse una revoca definitiva non solo dalla Consob ma anche da via nazionale dove a gestire la partita sembra ora lo schieramento che si contrappone al governatore il quale, al momento, appare fortemente indebolito.
In entrambi i casi, di stallo o di revoca, è evidente che le Autorità, coordinandosi con gli stessi magistrati, dovranno adoperarsi per ricercare una soluzione, non essendo accettabile che questa situazione nella governance dei due Istituti si protragga oltre nel tempo. Il ventaglio di problematiche, possibilità e sviluppi è molto ampio e va dal commissariamento della BPI, all'entrata in scena di un cavaliere bianco che rilevi la Popolare di Lodi e Antonveneta, alla cessione delle azioni, all'accordo tra Lodi e olandesi solo per citarne alcuni che campeggiano quotidianamente su tutti i giornali.
Restringiamo il campo di questa riflessione a quelle che allo stato dell'arte sono le tre ipotizzabili vie d'uscita per la Popolare italiana più accreditate dalla stampa e dagli esperti:
1) cessione della partecipazione ad Abn Amro, previo accordo su una fetta di sportelli (si parla di 400, 300, 100) e su Interbanca, che rimarrebbero all’ex Lodi;
2) analogo accordo con un grande istituto nazionale (si è fatto il nome di Banca Intesa;
3) vendita tout court del pacchetto del 29,9% di Antonveneta a un istituto estero.
Oggi credo che le ipotesi 2) e 3), soprattutto quest'ultima, siano abbastanza remote anche se non improbabili, e spiego il perché. Il faro della magistratura si sta dirigendo sempre più insistentemente sul ruolo svolto in tutta la vicenda dalle Banche estere che hanno sostenuto Fiorani e non costituirebbe una sorpresa una qualche clamorosa novità in questa direzione. E' ipotizzabile da parte di chi è entrato nel mirino della magistratura esporsi e farsi coinvolgere ancor più in questa vicenda? A meno che sulla scena non compaia qualche altro colosso internazionale non ancora coinvolto in questa lurida storia. Ma qui entreremmo nel campo della fantafinanza.
Anche l'ipotesi 2) ancorchè meno peregrina non mi sembra al pari credibile. Infatti non si capisce perchè Banca Intesa, tutta protesa a svilupparsi fuori dall'Italia come Unicredit, debba prendersi questa "rogna" da cui non avrebbe nulla o quasi da guadagnarci e che non rientra nelle sue strategie di lungo respiro. Senza dimenticare che ogni altra ipotesi diversa dalla 1) comporterebbe una causa per danni milardaria da parte di Abn Amro.
Rimane dunque in piedi l'ipotesi 1). Il responsabile della nostra organizzazione, Umberto Baldo, ha già espresso alcuni duri giudizi nel suo editoriale del 3 agosto su questa ipotesi e non ci torno sopra. Voglio però aggiungere alcune considerazioni sulle quali invito tutti a riflettere.
Si dice che negli affari tutto è lecito ed è anche comprensibile che Abn Amro voglia chiudere quanto prima questa vicenda che tiene immobilizzati miliardi di investimenti. Esiste però anche una morale e una decenza di cui a volte anche negli affari non è possibile non tener conto, in questo caso non solo da parte dei vertici olandesi ma anche da parte di tutti i soggetti coinvolti in un eventuale accordo, le Autorità che regolano il mercato e la magistratura.
Abbiamo visto come la Banca Popolare di Lodi e i suoi alleati abbiano diffuso comunicazioni false al mercato sulle azioni Antonveneta possedute, hanno mancato di rivelare l’esistenza di un patto di sindacato, hanno usato a piene mani società di comodo, hanno commesso altre violazioni gravissime che comportano reati come false comunicazioni, aggiotaggio, insider trading, ostacolo ad organismo di vigilanza, turbativa del mercato, abuso d'ufficio, falso in bilancio, falso in prospetto. Conosciamo il ruolo che ha svolto la massima autorità di Bankitalia. Abbiamo tutti letto le intercettazioni telefoniche. Noi non ci siamo stracciati le vesti per la violazione della privacy ma di quelle intercettazioni abbiamo colto tutto lo scandalo e il disgusto che invece non hanno suscitato nel governo e in molti politici non solo della maggioranza ma anche dell'opposizione, per il malaffare, per quelle connessioni, quei rapporti di complicità, le manipolazioni, la statura morale di quei protagonisti, lo spaccato di indegnità morale e corruzione che rivelano.
In quelle intercettazioni, nelle dichiarazioni successive, nelle inchieste giornalistiche, nemmeno in una frase, abbiamo letto qualcosa, un solo pensiero, che si ricordasse almeno una volta di un convitato da tutti dimenticato: i lavoratori, le loro famiglie. Nessuno che si sia mai interessato del destino di quelle migliaia di persone, con le loro storie personali, i loro bisogni, le loro preoccupazioni, paure ed aspirazioni, che fanno prosperare un'azienda con i loro sacrifici e il loro lavoro e che vivono grazie a questa ricchezza da loro creata. Tutto questo è rimasto al di fuori di ogni considerazione.
Qualcuno ha preso in ostaggio quest'azienda con tutto il suo personale ed ora, ancorchè individuato e smascherato, chiede ancora un riscatto. Voglio sperare che Consob, Bankitalia, la magistratura, olandesi e i lodigiani si rendano conto che questo è indegno e immorale quanto le azioni che hanno posto in essere quei personaggi al centro dello scandalo e che riescano a trovare una soluzione che non penalizzi i lavoratori attraverso quello che si sta invece configurando come uno spezzatino (400 sportelli + interbanca!!!) del nostro istituto, lo smembramento e la distruzione del corpo unitario dei lavoratori, un futuro di incognite e preoccupazioni per centinaia di essi.
Non è accettabile per i lavoratori e le organizzazioni sindacali che li rappresentano una soluzione che oltre che il danno già procurato rappresenterebbe una beffa insopportabile. Il Sindacato e i lavoratori di Banca Antonveneta non saranno mai disponibili a soluzioni - come già hanno affermato in Assemblea - che dimentichino la centralità del lavoro, le garanzie per l’occupazione, il confronto su qualsiasi progetto o accordo che abbia ricadute sul personale, arrosti o spezzatini che siano.
"Perché i lavoratori in questa Azienda, nella sua Storia, nel suo domani, credono veramente".
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La partita non è finita
Il controllo. Oggi Abn Amro ha ribadito con estrema chiarezza e correttezza la sua posizione: la Banca olandese non è interessata a rimanere azionista di minoranza e, pertanto, se non otterrà il controllo di Antonveneta, ne uscirà.
Alle domande dei giornalisti, Groenink ha risposto che Abn ora sta attendendo le decisioni che prenderanno le autorità italiane. Aspettare e vedere. Questa la strategia. Non credo molto alle diplomazie al lavoro, alle voci di accordi che in queste ore si starebbero discutendo tra i legali e gli advisor di ambo i contendenti. Che stiano studiando e preparandosi a tutte le variabili è evidente ma credo che per Fiorani questa sia ancora l'ultima delle opzioni. A noi viene comunque sì la "pelle d'oca" a sentir parlare di cessione di Interbanca e di un centinaio di sportelli nelle zone limitrofe alla sfera di influenza della Popolare: ovviamente non ci piacciono gli accordi sulla pelle dei lavoratori e "by-passando" il ruolo del sindacato aziendale il quale non mancherà di far sentire la sua voce se si dovesse verificare questa prospettiva.
La voce del sindacato. Come ha fatto sentire la sua voce, almeno attraverso Fiba/Cisl, Fisac/Cgil e Uilca, nel corso dell'Assemblea che ha riportato il CdA sotto il controllo di Abn Amro. Le tre organizzazioni sindacali hanno detto quello che tutti i lavoratori e le persone di buon senso si aspettavano, ma che altri non hanno mai avuto il coraggio di dire anche se sono sempre pronti a salire sul carro dei vincitori. Hanno detto che tra chi ha reso pubblico un progetto in parte condivisibile e tra chi non ha presentato ancora nulla, tra chi già presente in Banca Antonveneta ha contribuito allo sviluppo della Banca e chi lascia circolare voci di altre Banche che vantano diritti di prelazione sullo shopping nella Rete, tra chi offre sicurezze e chi offre carta straccia, la scelta è obbligata.
La scelta non può essere dunque che Abn Amro a cui i Sindacati chiedono il rispetto degli impegni del piano industriale corrente, il confronto a tutto campo, e segnali che dimostrino la centralità del lavoro e il riconoscimento del ruolo svolto dai lavoratori nel risanamento e rilancio aziendale.
Il nuovo CdA. Il nuovo CdA, eletto in una regolare assemblea, e che ha nominato presidente l'autorevole Augusto Fantozzi, è nel pieno dei propri poteri, e quindi in grado di rispondere alle necessità dell’Azienda, riprendendo quanto prima il confronto sulle tematiche affrontate negli ultimi incontri aziendali. Certamente la situazione potrebbe ipoteticamente cambiare nel caso, speriamo ormai remoto, la via giudiziaria e le decisioni delle autorità portassero a una vittoria della Popolare e questa potesse convocare regolarmente una nuova assemblea e far eleggere un nuovo CdA. Ma questo non significa che l'attuale CdA non possa esercitare i suoi pieni poteri, altrimenti dovremmo concludere che tutti i Consigli d'Amministrazione essendo eleggibili e revocabili non abbiano mai e comunque una piena facoltà dei loro poteri!
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