Chicco Story - Razza padana
Autore: Alberto Mazzuca
Fonte: "Il Quotidiano" del 18 marzo 2004
Emilio Gnutti detto Chicco, da Brescia, è un personaggio molto conosciuto nel mondo della finanza d'assalto di questi ultimi anni. Soprattutto per due ragioni: è un raider, uno scaltro e spregiudicato finanziere dai mille affari e dall’unico comandamento, quello di guadagnare alla svelta moltiplicando possibilmente per tre gli investimenti, ed è anche l’unico finanziere di un certo livello ad avere subìto una condanna nei tredici anni di esistenza della legge sull’insider trading.
Gnutti è un giocatore a tutto campo. Dall’affare Telecom in poi non c’è partita importante che non lo abbia visto nel ruolo di protagonista. E proprio perché è sempre sull’ottovolante, quindi a volte sugli altari e a volte nella polvere, Gnutti si ritrova ogni tanto anche con qualche tegola sulla testa. Ad occhio e croce, ne ha già ricevute quattro per una serie di sospetti: evasione fiscale sui 3mila miliardi di vecchie lire incassate nell’operazione di cessione del gruppo Telecom alla Pirelli nel 2001; di nuovo insider trading su Telecom dopo l’Opa, l’offerta pubblica di acquisto, lanciata dall’Olivetti nel 1999; ancora insider trading sul riacquisto di obbligazioni quotate decise dal gruppo Unipol di cui Gnutti è consigliere. L’insider trading, come si vede, è un «vizietto» costante nel modo di operare di Gnutti, che ha sulle spalle una condanna in primo grado ad 8 mesi di reclusione inflitta nel 2002 dal Tribunale di Brescia per avere passato informazioni riservate sulla Cmi, la Cantieri metallurgici italiani della famiglia Falck, al socio Ettore Lonati, l’industriale bresciano che è uno degli alleati della prima ora e guida insieme ai fratelli un gruppo che opera nelle macchine per le calze con un fatturato superiore al miliardo di euro. L’ultima tegola è di questi giorni: Gnutti è indagato a Firenze per corruzione della Guardia di finanza. Secondo gli inquirenti, nel 2001 è stata promessa una tangente per ammorbidire i controlli sulla Pineider, la storica azienda fiorentina fondata nel 1774 e famosa per avere fornito le sue preziose carte lavorate a mano a clienti illustri come Napoleone Bonaparte, Giacomo Leopardi, Charles Dickens, Luigi Pirandello. La Pineider, comprata da Gnutti quando era ancora in sella alla Telecom, avrebbe dovuto aumentare il suo giro d’affari con le commesse che gli avrebbe dovuto garantire proprio il colosso telefonico. Ma la prospettiva svanisce quando il finanziere bresciano esce un anno dopo dalla vicenda Telecom con un bel po’ di soldi. Ed ora la Pineider è da poco tempo in liquidazione.
IL BIGLIETTO DA VISITA
Classe 1947, originario di Lumezzane, diploma di perito elettrotecnico e una laurea in lettere conseguita nel 1984, Chicco Gnutti è di umili origini ma ha da sempre una passione per le auto d’epoca e il pianoforte. È’ famoso per la sua Bentley blu, la Ferrari gialla e per le lezioni del martedì sera alla tastiera. É’ anche noto per la paura di volare, una fifa tremenda. Sposato con Ornella Pozzi, anche lei indagata per insider trading nella vicenda Unipol, e padre di due figli, Arianna e Thomas, Gnutti entra nel business creando la Fineco, una piccola azienda di motorini per elettrodomestici, trasformata poi nel 1979 in una finanziaria di investimenti. La finanza diventa così il suo pane quotidiano: «Sa leggere i numeri e i mercati come pochi», dirà di lui Federico Imbert, numero uno in Italia della banca d’affari internazionale JP Morgan Chase, che non solo lo finanzia largamente ma sarà anche al suo fianco in numerose scorribande, se non proprio tutte, con un ruolo quasi da regista. Nel 1997 fonda la Hopa grazie proprio ad un’idea di Imbert, il quale vuole mettere un po’ d’ordine nella ragnatela di partecipazioni industriali e finanziare creata da Gnutti. É’ una cassaforte piena di soldi, partecipazioni e soci ricchi. Parecchi soci, all’inizio una ventina per poi superare rapidamente il centinaio sino ad arrivare a quota 180. Molti bresciani, alcuni bergamaschi, alcuni mantovani, in parte noti, in parte semisconosciuti, in parte refrattari alle luci della ribalta ma con una caratteristica comune: sono tutti pieni di soldi. Dirà Gnutti: «L’industria bresciana è alla terza generazione, quindi c’è gente che ha accumulato grosse ricchezze». Ed ecco insieme le famiglie Lonati, Bossini, Bertoli, Annovazzi, Marinelli, Marniga, Bonomi, Levoni, Cavandoli, Montini, Chiarva, Mondardini, Landi, Lucchini, Ricconi che hanno grande fiducia in lui. «Negli affari - spiegherà - l’importante è la stima reciproca più che l’amicizia».
LA TEORIA DELL'IMPRENDITORE
Gnutti, il quale preferisce definirsi «imprenditore» perché l'imprenditore deve avere «coraggio ma anche un pizzico di incoscienza», opera in questo modo sin dai tempi della Fineco: riunisce un discreto numero di persone piene di soldi creando così una massa d’urto importante, investe i loro quattrini (insieme ai suoi, naturalmente) sui mercati finanziari non solo in iniziative di solito speculative ma anche in semplici operazioni di trading giornaliero, e le ripaga con sostanziosi dividendi. «La Hopa - dirà - è una merchant bank a tutto tondo, quindi tutti i business vanno bene». Esce allo scoperto nel 1998 quando, insieme a Roberto Colaninno, il ragioniere di Mantova «sdoganato» da Carlo De Benedetti, comincia a scalare l’Olivetti rastrellandone le azioni. Nell’operazione ci sono i soldi e le idee della Chase (è di Imbert il progetto della Bell, la finanziaria domiciliata in Lussemburgo che poi diventerà il maggiore azionista della Olivetti) ma Gnutti può contare anche sull’appoggio finanziario di Silvano Pontello, il padre-padrone dell’Antonveneta di Padova scomparso nel marzo 2002 ed ex collaboratore di Michele Sindona negli anni ruggenti della Banca Privata e della Banca Unione. E può contare su Interbanca, la banca d’affari del gruppo padovano diretta da Giorgio Cirla.
IL COLPO GROSSO DEL CONQUISTATORE
Una volta conquistata l’Olivetti, l’appetito cresce. E nel febbraio 1999, allorché Colaninno decide di partire alla conquista di Telecom Italia lanciando l’offerta pubblica di acquisto più grande d’Europa con l’appoggio della Chase Manhattan, della Lehman Brothers e persino di Mediobanca, anche lui è della partita. Con la benedizione di Massimo D’Alema, all'epoca capo del governo, il quale darà a Colaninno e soci la patente di «capitani coraggiosi». E Telecom viene soffiata da sotto il naso degli Agnelli. Con l’Avvocato che qualche mese più tardi, dopo aver clamorosamente preso le distanze da Mediobanca che da sempre è stata alle spalle della Fiat, replicherà a D’Alema rinfacciandogli di avere preferito i «capitani coraggiosi» alla Colaninno al «piccolo mondo antico» delle grandi famiglie del capitalismo italiano.
IL GRANDE BLUFF
Una volta in sella a Telecom Italia il duo Colaninno-Gnutti mette a punto con Lorenzo Pelliccioli, un manager bergamasco convinto assertore della creazione di valore solo per gli azionisti, e con Sergio Erede, un avvocato con il tocco del banchiere d’affari, la fusione tra Tin.it e Seat. Tin.it è la divisione dei servizi Internet del gruppo Telecom, la Seat è la società famosa per la produzione delle pagine gialle e degli elenchi telefonici, girata prima dalla Stet al Tesoro, poi privatizzata e successivamente ricomprata dalla Telecom. La storia della fusione è abbastanza complessa. Possiamo dire, in grande sintesi, che si tratta di un grande bluff dai contorni per nulla trasparenti al punto da interessare anche la magistratura, con una serie di operazioni che hanno arricchito alcuni investitori ma impoverito il colosso telefonico. Un grande bluff che costerà molto caro ai piccoli risparmiatori. Gli obiettivi d'investimento di Gnutti sono quindi per un certo periodo Olivetti, Telecom, Seat, le società controllate cioè direttamente dalla Hopa. E questo fatto gli permette di manovrare con grande facilità: Chicco può infatti disporre per primo delle informazioni riservate facendo parte di quasi tutti i consigli d’amministrazione.
Fonte: "Il Quotidiano" del 18 marzo 2004
Emilio Gnutti detto Chicco, da Brescia, è un personaggio molto conosciuto nel mondo della finanza d'assalto di questi ultimi anni. Soprattutto per due ragioni: è un raider, uno scaltro e spregiudicato finanziere dai mille affari e dall’unico comandamento, quello di guadagnare alla svelta moltiplicando possibilmente per tre gli investimenti, ed è anche l’unico finanziere di un certo livello ad avere subìto una condanna nei tredici anni di esistenza della legge sull’insider trading.
Gnutti è un giocatore a tutto campo. Dall’affare Telecom in poi non c’è partita importante che non lo abbia visto nel ruolo di protagonista. E proprio perché è sempre sull’ottovolante, quindi a volte sugli altari e a volte nella polvere, Gnutti si ritrova ogni tanto anche con qualche tegola sulla testa. Ad occhio e croce, ne ha già ricevute quattro per una serie di sospetti: evasione fiscale sui 3mila miliardi di vecchie lire incassate nell’operazione di cessione del gruppo Telecom alla Pirelli nel 2001; di nuovo insider trading su Telecom dopo l’Opa, l’offerta pubblica di acquisto, lanciata dall’Olivetti nel 1999; ancora insider trading sul riacquisto di obbligazioni quotate decise dal gruppo Unipol di cui Gnutti è consigliere. L’insider trading, come si vede, è un «vizietto» costante nel modo di operare di Gnutti, che ha sulle spalle una condanna in primo grado ad 8 mesi di reclusione inflitta nel 2002 dal Tribunale di Brescia per avere passato informazioni riservate sulla Cmi, la Cantieri metallurgici italiani della famiglia Falck, al socio Ettore Lonati, l’industriale bresciano che è uno degli alleati della prima ora e guida insieme ai fratelli un gruppo che opera nelle macchine per le calze con un fatturato superiore al miliardo di euro. L’ultima tegola è di questi giorni: Gnutti è indagato a Firenze per corruzione della Guardia di finanza. Secondo gli inquirenti, nel 2001 è stata promessa una tangente per ammorbidire i controlli sulla Pineider, la storica azienda fiorentina fondata nel 1774 e famosa per avere fornito le sue preziose carte lavorate a mano a clienti illustri come Napoleone Bonaparte, Giacomo Leopardi, Charles Dickens, Luigi Pirandello. La Pineider, comprata da Gnutti quando era ancora in sella alla Telecom, avrebbe dovuto aumentare il suo giro d’affari con le commesse che gli avrebbe dovuto garantire proprio il colosso telefonico. Ma la prospettiva svanisce quando il finanziere bresciano esce un anno dopo dalla vicenda Telecom con un bel po’ di soldi. Ed ora la Pineider è da poco tempo in liquidazione.
IL BIGLIETTO DA VISITA
Classe 1947, originario di Lumezzane, diploma di perito elettrotecnico e una laurea in lettere conseguita nel 1984, Chicco Gnutti è di umili origini ma ha da sempre una passione per le auto d’epoca e il pianoforte. È’ famoso per la sua Bentley blu, la Ferrari gialla e per le lezioni del martedì sera alla tastiera. É’ anche noto per la paura di volare, una fifa tremenda. Sposato con Ornella Pozzi, anche lei indagata per insider trading nella vicenda Unipol, e padre di due figli, Arianna e Thomas, Gnutti entra nel business creando la Fineco, una piccola azienda di motorini per elettrodomestici, trasformata poi nel 1979 in una finanziaria di investimenti. La finanza diventa così il suo pane quotidiano: «Sa leggere i numeri e i mercati come pochi», dirà di lui Federico Imbert, numero uno in Italia della banca d’affari internazionale JP Morgan Chase, che non solo lo finanzia largamente ma sarà anche al suo fianco in numerose scorribande, se non proprio tutte, con un ruolo quasi da regista. Nel 1997 fonda la Hopa grazie proprio ad un’idea di Imbert, il quale vuole mettere un po’ d’ordine nella ragnatela di partecipazioni industriali e finanziare creata da Gnutti. É’ una cassaforte piena di soldi, partecipazioni e soci ricchi. Parecchi soci, all’inizio una ventina per poi superare rapidamente il centinaio sino ad arrivare a quota 180. Molti bresciani, alcuni bergamaschi, alcuni mantovani, in parte noti, in parte semisconosciuti, in parte refrattari alle luci della ribalta ma con una caratteristica comune: sono tutti pieni di soldi. Dirà Gnutti: «L’industria bresciana è alla terza generazione, quindi c’è gente che ha accumulato grosse ricchezze». Ed ecco insieme le famiglie Lonati, Bossini, Bertoli, Annovazzi, Marinelli, Marniga, Bonomi, Levoni, Cavandoli, Montini, Chiarva, Mondardini, Landi, Lucchini, Ricconi che hanno grande fiducia in lui. «Negli affari - spiegherà - l’importante è la stima reciproca più che l’amicizia».
LA TEORIA DELL'IMPRENDITORE
Gnutti, il quale preferisce definirsi «imprenditore» perché l'imprenditore deve avere «coraggio ma anche un pizzico di incoscienza», opera in questo modo sin dai tempi della Fineco: riunisce un discreto numero di persone piene di soldi creando così una massa d’urto importante, investe i loro quattrini (insieme ai suoi, naturalmente) sui mercati finanziari non solo in iniziative di solito speculative ma anche in semplici operazioni di trading giornaliero, e le ripaga con sostanziosi dividendi. «La Hopa - dirà - è una merchant bank a tutto tondo, quindi tutti i business vanno bene». Esce allo scoperto nel 1998 quando, insieme a Roberto Colaninno, il ragioniere di Mantova «sdoganato» da Carlo De Benedetti, comincia a scalare l’Olivetti rastrellandone le azioni. Nell’operazione ci sono i soldi e le idee della Chase (è di Imbert il progetto della Bell, la finanziaria domiciliata in Lussemburgo che poi diventerà il maggiore azionista della Olivetti) ma Gnutti può contare anche sull’appoggio finanziario di Silvano Pontello, il padre-padrone dell’Antonveneta di Padova scomparso nel marzo 2002 ed ex collaboratore di Michele Sindona negli anni ruggenti della Banca Privata e della Banca Unione. E può contare su Interbanca, la banca d’affari del gruppo padovano diretta da Giorgio Cirla.
IL COLPO GROSSO DEL CONQUISTATORE
Una volta conquistata l’Olivetti, l’appetito cresce. E nel febbraio 1999, allorché Colaninno decide di partire alla conquista di Telecom Italia lanciando l’offerta pubblica di acquisto più grande d’Europa con l’appoggio della Chase Manhattan, della Lehman Brothers e persino di Mediobanca, anche lui è della partita. Con la benedizione di Massimo D’Alema, all'epoca capo del governo, il quale darà a Colaninno e soci la patente di «capitani coraggiosi». E Telecom viene soffiata da sotto il naso degli Agnelli. Con l’Avvocato che qualche mese più tardi, dopo aver clamorosamente preso le distanze da Mediobanca che da sempre è stata alle spalle della Fiat, replicherà a D’Alema rinfacciandogli di avere preferito i «capitani coraggiosi» alla Colaninno al «piccolo mondo antico» delle grandi famiglie del capitalismo italiano.
IL GRANDE BLUFF
Una volta in sella a Telecom Italia il duo Colaninno-Gnutti mette a punto con Lorenzo Pelliccioli, un manager bergamasco convinto assertore della creazione di valore solo per gli azionisti, e con Sergio Erede, un avvocato con il tocco del banchiere d’affari, la fusione tra Tin.it e Seat. Tin.it è la divisione dei servizi Internet del gruppo Telecom, la Seat è la società famosa per la produzione delle pagine gialle e degli elenchi telefonici, girata prima dalla Stet al Tesoro, poi privatizzata e successivamente ricomprata dalla Telecom. La storia della fusione è abbastanza complessa. Possiamo dire, in grande sintesi, che si tratta di un grande bluff dai contorni per nulla trasparenti al punto da interessare anche la magistratura, con una serie di operazioni che hanno arricchito alcuni investitori ma impoverito il colosso telefonico. Un grande bluff che costerà molto caro ai piccoli risparmiatori. Gli obiettivi d'investimento di Gnutti sono quindi per un certo periodo Olivetti, Telecom, Seat, le società controllate cioè direttamente dalla Hopa. E questo fatto gli permette di manovrare con grande facilità: Chicco può infatti disporre per primo delle informazioni riservate facendo parte di quasi tutti i consigli d’amministrazione.
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