Dal guado alla deriva
Antonveneta, più che in mezzo al guado, come solo poco più di due mesi fa affermava il suo Presidente, appare oggi trascinata dalla corrente, a largo, in alto mare, verso una tempesta di cui non è ancora dato vedere i confini e l'evoluzione. In questi ultimi mesi la solidità del gruppo Abn si è indebolita e da cacciatore si è trasformato in preda mentre la sua rotta appare influenzata anche dal più debole dei venticelli che proviene dai fondi che detengono anche solo piccole quote di capitale. Non sappiamo se la trattativa con la Barclays avrà successo. In ogni caso, che sia l'amichevole Barclays (anche questo gruppo con i suoi problemi) o qualche altro colosso internazionale, pronto a mettere sul piatto la liquidità accumulata in questi ultimi due tre anni di espansione globale del mercato, il destino di Abn appare segnato e quello di Antonveneta ancora più incerto e alla vigilia di nuovi e, prevedibilmente, pesanti riassetti.
Lo stesso Groenink non ha potuto nascondere, nella sua lettera ai dipendenti, che "stiamo entrando in un periodo incerto" chiedendo poi "la focalizzazione sui nostri clienti e sui nostri obiettivi". Un suggerimento difficile da praticare in questa situazione di incertezza, soprattutto in Antonveneta. Gli olandesi, per ora, non sembrano avere radicato nel nostro top-management nuove e più chiare idee sulle reali esigenze organizzative e di mercato. La presenza della nuova proprietà si nota più nei gadget e nel nuovo linguaggio comunicativo, circoscritto alla newsletter e ad un'inflazionato uso di terminologia inglese che nel quotidiano operare dei lavoratori e nei rapporti con la clientela. La Banca sembra continuare ad andare avanti per forza d'inerzia, portandosi dietro tutti i vecchi vizi e difetti, nonostante un piano industriale ambizioso e una ristrutturazione che avrebbero dovuto darle slancio e nuove energie.
Le pressioni commerciali, le distorsioni e la mancata trasparenza del sistema premiante, le lungaggini burocratiche, una politica commerciale del giorno per giorno, poco attenta alle esigenze della clientela e con l'unico scopo del raggiungimento di budget i cui obbiettivi cambiano continuamente, le pagelline e le liste di proscrizione emanate ormai quotidianamente dai coordinatori territoriali, l'emergenza organici in vaste aree territoriali, l'assenza di alcune professionalità, dovuta ad una inadeguata formazione, ci permettono di comprendere che l'aereo (il veccho aereo di pontelliana memoria) non solo non è mai decollato ma si sta appesantendo sempre più di problemi irrisolti e di guasti ai quali nessuno sembra in grado di poter mettere mano.
Addentrandoci nella tempesta, si può demagogicamente chiedere ai lavoratori di rimboccarsi le maniche e di lavorare per il raggiungimento degli obbiettivi. Questo i lavoratori l'hanno sempre fatto, ma, nella situazione sopra descritta, è inaccettabile chiedere l'impossibile o di non pensare al proprio futuro con preoccupazione. Qualunque sia il destino di Abn Amro, qualsiasi soluzione avrà pesanti ripercussioni sul gruppo Antonveneta.
Si sa come vanno le cose in questi casi. L'unico interesse degli azionisti è quello di rendere più remunerativo il loro investimento e di veder salire il valore delle azioni. Primo passo: taglio di costi e cessione di asset. La gamma delle possibilità è ampia e non credo che la nuova proprietà si limiterà solo alla cessione del pacchetto Capitalia, per quanto riguarda gli asset in Italia (che è quanto chiedono gli hedge fund). Interbanca potrebbe essere il passo successivo e anche Antonveneta potrebbe entrare in gioco nel riassetto bancario in Italia, tra passaggi di mano di pacchetti di controllo, scesa in campo di nuovi attori interni e internazionali, dossier aperti per aggregazioni che potrebbero ridisegnare completamente la mappa degli equilibri del sistema. Non mi voglio addentrare nei rumors che alimentano il gossip finanziario, ma non sono certo peregrine e remote le ipotesi che parlano di cessione di Antonveneta o di suoi asset o di blocchi di sportelli, a seconda di come evolverà quel riassetto del sistema.
Purtroppo siamo passati dall’infausto protezionismo di Fazio ad un vuoto di regole, precise e uniformi, a livello Europeo, che tutelino gli interessi generali dell' economia e dello sviluppo produttivo, insieme alla salvaguardia dei livelli occupazionali e alla valorizzazione della professionalità delle lavoratrici e dei lavoratori. Operatori finanziari, banche e hedge fund si muovono invece spregiudicatamente, forti dell'enorme liquidità che raccolgono a livello internazionale, investendo in società ed imprese, alla continua ricerca di massimizzare esclusivamente i propri profitti, disinteressandosi del destino e dello sviluppo delle imprese e delle risorse umane.
In questo panorama sconfortante anche il Sindacato deve fare i conti con processi internazionali sui quali non ha adeguati strumenti per intervenire. La democrazia sindacale, attraverso i CAE, ha fatto dei passi avanti a livello europeo, ma sono organismi ancora giovani, non hanno poteri negoziali e non sono supportati da un’adeguata legislazione. Partendo dal presupposto che la contrattazione aziendale europea rappresenta il futuro, va creato un terreno di cultura sindacale e legislativo adatto, perchè avvenga un salto di qualità che permetta al Sindacato di governare questi processi transnazionali, come avviene oggi per le aggregazioni in Italia. Purtroppo, al momento, al Sindacato, per Antonveneta, non resta che sperare su una soluzione, appunto, tutta italiana.
Nota aggiuntiva del 1 aprile 2007
Ho ricevuto, da parte di alcuni lettori, fondamentalmente, due osservazioni a questo articolo:
1) Alla luce di quanto avvenuto e sta avvenendo, era poi tanto sbagliata la "difesa dell'italianità", ai tempi della scalata ad Antonveneta?
2) La Uilca sposa la soluzione di una cessione di Antonveneta ad altro gruppo italiano, il Monte Paschi Siena, per esempio?
Ritengo opportuno dare dei chiarimenti su questi due aspetti.
Sulla prima questione, la "difesa dell'italianità" non l'abbiamo mai giudicata un valore in sé negativo. Ma avrebbe dovuto essere perseguita non erigendo barriere bensì favorendo e accompagnando processi di aggregazione nazionali che creassero competitor italiani a livello internazionale e che invece l'allora Governatore di Bankitalia osteggiava perchè non funzionali al mantenimento di certi assetti ed equilibri di potere. L'italianità fu sbandierata a sproposito solo per favorire alcune cordate di "amici" e che amici, visto che la maggior parte è finita in galera. Nella vicenda della scalata ad Antonveneta abbiamo passato mesi e mesi a discutere se era sindacalmente corretto schierarci o meno partendo dal principio che il sindacato giudica dai piani industriali. Ebbene, dovevamo alla fine esprimere un giudizio positivo sulla cordata dei Fiorani, dei Coppola e dei Ricucci che tra l'altro non avevano neanche uno straccio di piano industriale? Abbiamo preferito chi aveva un progetto che garantiva solidità e stabilità alla banca e che assicurava un forte ruolo al sindacato. Come puntualmente si è verificato almeno per quanto riguarda le relazioni sindacali. Paradossalmente l'unica cosa che possiamo oggi rimproverare alla proprietà olandese è stata quella di non aver fatto sentire una sua forte presenza a livello "padovano", di aver usato il guanto di velluto con un management a dir poco "discusso" e di non aver cercato di proporre una reale svolta nel modo di fare Banca, nei rapporti con la clientela e nelle politiche commerciali e organizzative. Ma oggi comprendiamo il perchè di questa "trascuratezza" essendo ad Amsterdam occupati con ben più gravi e seri problemi.
Per quanto riguarda la seconda osservazione, la Uilca non sposa alcuna ipotesi. Mi sono limitato alla ovvia osservazione che nelle peggiori, delle ipotesi, di una cessione integrale o a "spezzatino", la soluzione "interna" almeno assicurerebbe al Sindacato maggiori e vincolanti garanzie e strumenti di governo dei processi di integrazione e ristrutturazione. Per ora rimaniamo attenti osservatori di quanto sta avvenendo, sperando che nel caso passi l'ipotesi Barclays, l'Italia resti zona d'influenza degli olandesi (sembra che negli accordi tra i due gruppi Antonveneta venga considerata strategica ed affidata agli olandesi) o nel caso di cui si parla in queste ultime ore, di un'offerta Royal Bank of Scotland-Santander, speriamo che siano vere le voci che vedrebbero la prima girare poi gli asset in Italia a Santander che, ritengo, considererebbe ugualmente Antonveneta strategica per una sua espansione in Italia. Qualunque sia la soluzione credo comunque che sarebbe solo una prima tappa di un più vasto rimescolamento dagli sviluppi al momento imprevedibili. Una situazione interessante per un appassionato di risiko se non ci fosse di mezzo il destino di migliaia di lavoratori i quali si aspettano invece certezze occupazionali e professionali. Per questo motivo il Sindacato oltre che attento osservatore deve essere pronto ad intervenire e a dare segnali forti che qualunque sia la soluzione dovranno essere garantiti livelli occupazionali, professionalità e diritti sindacali. Intendo il Sindacato a tutti i livelli: da quello aziendale a quello nazionale, fino a quello europeo, pur consapevole delle difficoltà che il dispiegarsi di una piena democrazia sindacale incontra in tutte le operazioni transfrontaliere.
Lo stesso Groenink non ha potuto nascondere, nella sua lettera ai dipendenti, che "stiamo entrando in un periodo incerto" chiedendo poi "la focalizzazione sui nostri clienti e sui nostri obiettivi". Un suggerimento difficile da praticare in questa situazione di incertezza, soprattutto in Antonveneta. Gli olandesi, per ora, non sembrano avere radicato nel nostro top-management nuove e più chiare idee sulle reali esigenze organizzative e di mercato. La presenza della nuova proprietà si nota più nei gadget e nel nuovo linguaggio comunicativo, circoscritto alla newsletter e ad un'inflazionato uso di terminologia inglese che nel quotidiano operare dei lavoratori e nei rapporti con la clientela. La Banca sembra continuare ad andare avanti per forza d'inerzia, portandosi dietro tutti i vecchi vizi e difetti, nonostante un piano industriale ambizioso e una ristrutturazione che avrebbero dovuto darle slancio e nuove energie.
Le pressioni commerciali, le distorsioni e la mancata trasparenza del sistema premiante, le lungaggini burocratiche, una politica commerciale del giorno per giorno, poco attenta alle esigenze della clientela e con l'unico scopo del raggiungimento di budget i cui obbiettivi cambiano continuamente, le pagelline e le liste di proscrizione emanate ormai quotidianamente dai coordinatori territoriali, l'emergenza organici in vaste aree territoriali, l'assenza di alcune professionalità, dovuta ad una inadeguata formazione, ci permettono di comprendere che l'aereo (il veccho aereo di pontelliana memoria) non solo non è mai decollato ma si sta appesantendo sempre più di problemi irrisolti e di guasti ai quali nessuno sembra in grado di poter mettere mano.
Addentrandoci nella tempesta, si può demagogicamente chiedere ai lavoratori di rimboccarsi le maniche e di lavorare per il raggiungimento degli obbiettivi. Questo i lavoratori l'hanno sempre fatto, ma, nella situazione sopra descritta, è inaccettabile chiedere l'impossibile o di non pensare al proprio futuro con preoccupazione. Qualunque sia il destino di Abn Amro, qualsiasi soluzione avrà pesanti ripercussioni sul gruppo Antonveneta.
Si sa come vanno le cose in questi casi. L'unico interesse degli azionisti è quello di rendere più remunerativo il loro investimento e di veder salire il valore delle azioni. Primo passo: taglio di costi e cessione di asset. La gamma delle possibilità è ampia e non credo che la nuova proprietà si limiterà solo alla cessione del pacchetto Capitalia, per quanto riguarda gli asset in Italia (che è quanto chiedono gli hedge fund). Interbanca potrebbe essere il passo successivo e anche Antonveneta potrebbe entrare in gioco nel riassetto bancario in Italia, tra passaggi di mano di pacchetti di controllo, scesa in campo di nuovi attori interni e internazionali, dossier aperti per aggregazioni che potrebbero ridisegnare completamente la mappa degli equilibri del sistema. Non mi voglio addentrare nei rumors che alimentano il gossip finanziario, ma non sono certo peregrine e remote le ipotesi che parlano di cessione di Antonveneta o di suoi asset o di blocchi di sportelli, a seconda di come evolverà quel riassetto del sistema.
Purtroppo siamo passati dall’infausto protezionismo di Fazio ad un vuoto di regole, precise e uniformi, a livello Europeo, che tutelino gli interessi generali dell' economia e dello sviluppo produttivo, insieme alla salvaguardia dei livelli occupazionali e alla valorizzazione della professionalità delle lavoratrici e dei lavoratori. Operatori finanziari, banche e hedge fund si muovono invece spregiudicatamente, forti dell'enorme liquidità che raccolgono a livello internazionale, investendo in società ed imprese, alla continua ricerca di massimizzare esclusivamente i propri profitti, disinteressandosi del destino e dello sviluppo delle imprese e delle risorse umane.
In questo panorama sconfortante anche il Sindacato deve fare i conti con processi internazionali sui quali non ha adeguati strumenti per intervenire. La democrazia sindacale, attraverso i CAE, ha fatto dei passi avanti a livello europeo, ma sono organismi ancora giovani, non hanno poteri negoziali e non sono supportati da un’adeguata legislazione. Partendo dal presupposto che la contrattazione aziendale europea rappresenta il futuro, va creato un terreno di cultura sindacale e legislativo adatto, perchè avvenga un salto di qualità che permetta al Sindacato di governare questi processi transnazionali, come avviene oggi per le aggregazioni in Italia. Purtroppo, al momento, al Sindacato, per Antonveneta, non resta che sperare su una soluzione, appunto, tutta italiana.
Nota aggiuntiva del 1 aprile 2007
Ho ricevuto, da parte di alcuni lettori, fondamentalmente, due osservazioni a questo articolo:
1) Alla luce di quanto avvenuto e sta avvenendo, era poi tanto sbagliata la "difesa dell'italianità", ai tempi della scalata ad Antonveneta?
2) La Uilca sposa la soluzione di una cessione di Antonveneta ad altro gruppo italiano, il Monte Paschi Siena, per esempio?
Ritengo opportuno dare dei chiarimenti su questi due aspetti.
Sulla prima questione, la "difesa dell'italianità" non l'abbiamo mai giudicata un valore in sé negativo. Ma avrebbe dovuto essere perseguita non erigendo barriere bensì favorendo e accompagnando processi di aggregazione nazionali che creassero competitor italiani a livello internazionale e che invece l'allora Governatore di Bankitalia osteggiava perchè non funzionali al mantenimento di certi assetti ed equilibri di potere. L'italianità fu sbandierata a sproposito solo per favorire alcune cordate di "amici" e che amici, visto che la maggior parte è finita in galera. Nella vicenda della scalata ad Antonveneta abbiamo passato mesi e mesi a discutere se era sindacalmente corretto schierarci o meno partendo dal principio che il sindacato giudica dai piani industriali. Ebbene, dovevamo alla fine esprimere un giudizio positivo sulla cordata dei Fiorani, dei Coppola e dei Ricucci che tra l'altro non avevano neanche uno straccio di piano industriale? Abbiamo preferito chi aveva un progetto che garantiva solidità e stabilità alla banca e che assicurava un forte ruolo al sindacato. Come puntualmente si è verificato almeno per quanto riguarda le relazioni sindacali. Paradossalmente l'unica cosa che possiamo oggi rimproverare alla proprietà olandese è stata quella di non aver fatto sentire una sua forte presenza a livello "padovano", di aver usato il guanto di velluto con un management a dir poco "discusso" e di non aver cercato di proporre una reale svolta nel modo di fare Banca, nei rapporti con la clientela e nelle politiche commerciali e organizzative. Ma oggi comprendiamo il perchè di questa "trascuratezza" essendo ad Amsterdam occupati con ben più gravi e seri problemi.
Per quanto riguarda la seconda osservazione, la Uilca non sposa alcuna ipotesi. Mi sono limitato alla ovvia osservazione che nelle peggiori, delle ipotesi, di una cessione integrale o a "spezzatino", la soluzione "interna" almeno assicurerebbe al Sindacato maggiori e vincolanti garanzie e strumenti di governo dei processi di integrazione e ristrutturazione. Per ora rimaniamo attenti osservatori di quanto sta avvenendo, sperando che nel caso passi l'ipotesi Barclays, l'Italia resti zona d'influenza degli olandesi (sembra che negli accordi tra i due gruppi Antonveneta venga considerata strategica ed affidata agli olandesi) o nel caso di cui si parla in queste ultime ore, di un'offerta Royal Bank of Scotland-Santander, speriamo che siano vere le voci che vedrebbero la prima girare poi gli asset in Italia a Santander che, ritengo, considererebbe ugualmente Antonveneta strategica per una sua espansione in Italia. Qualunque sia la soluzione credo comunque che sarebbe solo una prima tappa di un più vasto rimescolamento dagli sviluppi al momento imprevedibili. Una situazione interessante per un appassionato di risiko se non ci fosse di mezzo il destino di migliaia di lavoratori i quali si aspettano invece certezze occupazionali e professionali. Per questo motivo il Sindacato oltre che attento osservatore deve essere pronto ad intervenire e a dare segnali forti che qualunque sia la soluzione dovranno essere garantiti livelli occupazionali, professionalità e diritti sindacali. Intendo il Sindacato a tutti i livelli: da quello aziendale a quello nazionale, fino a quello europeo, pur consapevole delle difficoltà che il dispiegarsi di una piena democrazia sindacale incontra in tutte le operazioni transfrontaliere.
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